C’è una serie tv italiana che tutti dovrebbero vedere. Tratta di argomenti importanti e significativi. Difatti dovrebbe essere proiettata un po’ ovunque, a scopo pedagogico.
In Italia, un po’ come in tutto il mondo ci sono tanti appassionati di serie tv. Difatti i prodotti a lunga serialità tendono ad accattivare l’attenzione e l’interesse del pubblico. In passato erano i film, o gli sceneggiati vecchio stampo a farla da padrone, oggi la serie tv conquista tutti.
La televisione generalista italiana copre soltanto parte delle richieste del pubblico. Le reti ammiraglie, difatti, tendono a puntare sulle fiction, ed alcune di queste, le più fortunate, vengono rinnovate per varie stagioni. Tuttavia l’avvento di Netflix ha cambiato le carte in tavola con un’offerta innovativa. Proprio su questa piattaforma è possibile seguire una nuova serie che davvero merita di essere elogiata.
Ci sono storie che ti entrano dentro più di altre. Storie che ti lasciano il segno impresso nella mente, proprio perché ti ci sei immedesimato troppo. Tutto chiede salvezza è una di quelle. La nuova serie di Netflix parla di un argomento nuovo e forse ancora poco trattato, ovvero la sanità mentale. Le vicende raccontate sono tratte dal libro di Daniele Mencarelli. Nel corso di sette episodi viene descritto il ricovero di Daniele. Quest’ultimo sembrerebbe essere un ragazzo normale, ma improvvisamente viene catapultato in una realtà dura, cruenta e dal quale vorrebbe scappare. Daniele non comprende cosa gli sia successo. Ha paura e soprattutto non vuole restare in quel posto, costretto a fare ciò che gli dicono gli altri.
Tutto chiede salvezza, diretta da Francesco Bruni, affronta una tematica attuale, ma ancora avvolta nei tabù. Si ha paura a parlare di psicopatia e malattie mentali perché la diversità stessa fa paura. Eppure chi può stabilire cosa sia “normale” e cosa sia “diverso”? In un ospedale psichiatrico un rude infermiere oberato da anni di professione è davvero tanto diverso da un ragazzo finito lì per TSO? Tutto chiede salvezza è importante proprio per questo: per farci capire quanto sia labile il confine della “normalità”, della “sanità”. Questa serie, così innovativa, così drammatica ma emozionate andrebbe proiettata in determinati ambienti a scopo educativo oltre che informativo. Nelle scuole, per far capire ai ragazzi che non esiste una normalità da seguire e che anche la diversità fa bene. E poi sui posti di lavoro, per far capire ai dipendenti quando sia giunto il momento di fermarsi.
Negli ospedali ai medici ed infermieri, coloro che lavorano a stretto contatto con la sofferenza, con la morte, senza avere nemmeno il tempo di realizzare quanto tutto ciò faccia male anche a loro.
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